La biografia e la carriera artistica, con mille curiosità e indiscrezioni; il successo di pubblico e di critica, gli spettacoli; i rapporti con i media, dalla radio alla televisione; il teatro, il cinema; le collaborazioni, i libri; gli sketch, le battute, le gag, le canzoni; i personaggi, le maschere; i premi, le critiche e i riconoscimenti; nell’indice oltre 7000 titoli di spettacoli, film, trasmissioni radiofoniche e televisive, dischi, libri…
Ad affollare le pagine di questo Dizionario dei Comici e del Cabaret sono oltre cinquecento maestri della risata. Ci sono le star più celebri, ma anche molti nomi dimenticati, spalle e caratteristi che hanno arricchito il repertorio. È un vero e proprio esercito di comici che hanno divertito generazioni di italiani, dalla fine dell’Ottocento a oggi. Grazie a loro, e con loro, abbiamo riso delle nostre piccole e grandi disgrazie, dei molti vizi e delle rare virtù nazionali. Dalle tavole del palcoscenico hanno sbeffeggiato il Palazzo fino a farlo tremare (attirando spesso la censura), da Petrolini a Cecchelin, da Grillo a Luttazzi e alla Guzzanti. Hanno dato corpo e voce alle nostre anime dialettali, ma anche alle nevrosi della vita metopolitana e alle angosce del postmoderno. Dalle radici nel café-chantant e del tabarin ai fasti dell’avanspettacolo e del varietà, dai cabaret metropolitani ai trionfi sul grande e sul piccolo schermo, in questo Dizionario sfilano biografie spesso avventurose, talenti irripetibili, successi e fischi, trucchi e battute, esordi folgoranti e carriere esaltanti. Ci sono naturalmente le grandi star, da Totò e Peppino a Chiari, Manfredi, Gassman e Tognazzi, e poi le invenzioni fanciullesche e surreali di un Rascel e gli irresistibili “barzellettieri” Dapporto e Bramieri. Ma ci sono anche i precursori, che hanno aperto filoni inediti, come Nicola Maldacea, l’inventore della macchietta, oppure Franca Valeri, Paolo Poli e i Gobbi, che danno alle nostre risate una venatura più intellettuale. Esplodono la generazione del Derby, con Cochi e Renato e Villaggio-Fantozzi, e le diverse onde dello Zelig. Ci sono i varietà radiofonici e televisivi ma anche Drive In! e la Gialappa’s. C’è la comicità al femminile della Littizzetto e di “Sconsy”, e la delicata napoletanità di Massimo Troisi. C’è chi ha saputo contaminare musica e risate, come la Banda Osiris oppure Elio e le Storie Tese. Ci sono gli “irregolari”, cresciuti fuori da ogni scuola, come Alessandro Bergonzoni. Perché quella della comicità all’italiana è una tavolozza dai mille colori, che continua ad arricchirsi di sfumature e invenzioni. Fino a raggiungere il successo internazionale. Basti pensare ai registi-interpreti che hanno fatto grande la commedia all’italiana (De Sica e Sordi) o agli attori che figurano in film da Oscar (Anna Magnani, i “comedians” di Mediterraneo, e soprattutto il Roberto Benigni regista e protagonista della Vita è bella). Senza naturalmente dimenticare il genio di Dario Fo, Premio Nobel per la Letteratura.
Un viaggio nel mondo musicale, anarcoide e innovativo dei più acclamati chansonnniers francofoni. Dai precursori Aristide Bruant e Yvette Guilbert, paladini della canzone realista, fino all’attualità della rockstar Renaud, passando per Léo Ferrè, Boris Vian, Georges Brassens, Jacques Brel e Serge Gainbsourg, senza dimenticare le note sulfuree di Jean Ferrat, la disperata poesia di Barbara, le voci senza tempo di Juliette Gréco ed Edith Piaf, la poliedricità scenica di Yves Montand ed Herbert Pagani o le scorribande rock del performer Johnny Hallyday, e molti altri ancora.
Un secolo da chansonnier, dal 1880 al 1980, dedicate a quell’incrocio tra musica, poesia e teatralità che ha fatto la fortuna di molta discografia e la gioia di chi ha condiviso i percorsi di questi cantanti d’assalto. Racconto musicale di un’epoca, ma anche dirompenti storie di vita in una Parigi che si fa centro culturale di un’Europa bisognosa di ideali e valori nuovi.
La Saint-Germain-des-Près di Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, il jazz di Charlie Parker e Miles Davis, o il cinema di Brigitte Bardot e François Truffaut, si intrecciano con le voci dell’esistenzialismo e del maggio sessantottino, mentre perfino nelle ultime rivolte delle banlieues più dimenticate sembrano riecheggiare i “maudits” di un tempo.
Non solo le vite e le parole più belle di questi caustici e poetici cronisti in musica, ma anche le atmosfere di chi ancora oggi cerca una “Parigi Canaglia” che non esiste più, ma che sotto il pavé coltiva quelle anarchiche utopie che la loro arte ha reso possibili.
Ed. Garzanti 2012
Da sempre gli esseri umani amano bere e divertirsi. E dunque amano il cabaret perché si ride e si beve, non necessariamente in quest’ordine. Ma qual è la vera natura del cabaret, un’etichetta che a volte viene usata a sproposito? È un tipo di locale o un genere di spettacolo? È solo un sottoprodotto del comico oppure ha maggiori ambizioni? E quali sono le sue caratteristiche, che lo distinguono da altre forme di spettacolo? La vera storia del cabaret ripercorre le tappe di questo genere, alla ricerca del segreto di un fenomeno che attraversa con successo epoche e paesi, sempre diverso ma sempre fedele a sé stesso. Gli inizi sono ovviamente un po’ vaghi: nessuno si è segnato sul calendario il giorno esatto della scoperta del vino o della birra, visto che erano tutti troppo ubriachi per pensarci. Dopo le tabernae vinariae romane e le hostarie medievali, le botteghe del caffè veneziane e i pleasure gardens londinesi, il secondo punto di partenza è invece noto e squisitamente parigino: è lo Chat Noir, il papà di tutti i cabaret. Da lì la formula investe l’intera Europa, Italia compresa. Perché l’Italia è un caso particolare. Da noi il cabaret ha ascendenze illustri, dalla scapigliatura ai futuristi. Ci sono concorrenti che hanno creato qualche confusione, dall’avanspettacolo al varietà, fino a certe degenerazioni della comicità televisiva. E poi ha diverse declinazioni geografiche, da Napoli a Genova, da Milano a Roma, le varie capitali del cabaret all’italiana.
Giangilberto Monti e Flavio Oreglio da sempre riflettono sul loro lavoro, studiandone i meccanismi e l’evoluzione. In una ricchissima cavalcata, ci fanno incontrare personaggi che dalla storia sono entrati nel mito e rievocano aneddoti che sono passati dalla cronaca alla leggenda.
8 novembre 2012
Feltrinelli – Milano
ospiti Enrico Intra, Nanni Svampa, Roberto Brivio, Giancarlo Bozzo, Enzo Iacchetti, Ricky Gianco, Giorgio Melazzi e Alberto Patrucco
12 novembre 2012
Feltrinelli – Roma
ospite Lino Patruno
24 novembre 2012
Circolo Arci Login – Genova
ospite Paolo Poli
1 dicembre 2012
Libreria IBS.IT – Ferrara
11 dicembre 2012
Circolo dei Lettori – Torino
ospite Bruno Gambarotta
Romanzo illegalista.
Siamo in Francia, c’è la democrazia, la guerra in Europa non c’è, o meglio, c’è dappertutto, ma non qui. E’ la Belle Epoque! Vai a prendere il caffè sulla Senna, vai a ballare al Moulin Rouge e lì ci trovi gli artisti, i ministri, bellissime donne… basta avere i soldi. E se vuoi farti quattro risate? Vai al cabaret, dove i comici prendono in giro l’imperatore. Ma se non hai soldi, se cerchi lavoro? Se sei disperato perchè non lo trovi, cosa fai? Questa storia a Parigi la conoscono tutti, è quasi una leggenda però è tutto vero… questa è la storia di Jules Bonnot: operaio, anarchico e poi bandito. Un fuorilegge.
leggi la prefazione di Oliviero Ponte Di Pino
Presentazione
Con questo “romanzo storico” Giangilberto Monti passa dalla saggistica comico-musicale alla narrativa e grazie a un’attenta ricerca sui giornali dell’epoca affronta una vicenda umana e politica che da sempre lo affascina: l’epopea di Jules Bonnot – “operaio, anarchico e poi bandito” – e della sua banda di anarchici illegalisti, che seminarono il terrore nella Parigi della Belle Époque e fecero discutere poeti, uomini di Stato, rivoluzionari, giornalisti e gente comune. La loro anima romantica, la commistione tra utopia libertaria e delinquenza comune e la modernità con cui agivano negli assalti alle banche – le loro rapine in auto e la bravura di Bonnot alla guida, divenne leggendaria – trasformò una banda di ragazzi di vent’anni in eroi tragici, e il suo leader in una star dei quotidiani francesi. Grazie a loro la polizia inventò nuove tecniche investigative, come la rilevazione delle impronte digitali, si armò ancora meglio e conquistò la strada con mezzi più potenti, ma i “ragazzi di Bonnot” avevano dalla loro un’idealità che li distanziava dalla malavita parigina degli apaches, guadagnandosi le simpatie degli antagonisti e l’odio dello Stato francese, che non esitò a ucciderli in assedi tragicomici o a ghigliottinarli senza pietà. A differenza di altri libri sull’argomento, tra Italia e Francia, questo di Monti affronta l’intera epopea della banda, dalla nascita del suo fondatore al processo che un secolo fa vide l’idea stessa di anarchia alla sbarra, in una Parigi a un passo dalla Grande Guerra, ridotta allo stremo dagli scandali politici e dalla crisi economica della “Brutta Époque”, nella quale il diserzionismo anarchico preoccupava governanti e patrioti. “L’Amore che fa Boum!” é un libro che racconta una storia vera, spesso con le parole dei suoi protagonisti, senza compiacenze di sorta e con un distacco storico non privo d’ironia, una cifra artistica tipica del suo Autore. D’altronde G.G. Monti ben conosce la storia del cabaret e le sue radici nella canzone d’oltralpe. E proprio uno dei suoi protagonisti più geniali, Boris Vian – autore nel 1954 di una commedia musicale sulla Banda Bonnot – scandisce idealmente i passaggi temporali di questa storia.